5G: cosa cambia nell’utilizzo delle frequenze

Il 5G non è una tecnologia nuova: ne abbiamo parlato spesso. Vediamo cosa cambia invece nell’utilizzo delle frequenze.

Dopo l’assegnazione in licenza da parte del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) delle frequenze per l’allestimento delle nuove reti 5G (Frequenze 5G: l’asta si conclude con un grande successo per le casse statali), gli operatori di telecomunicazioni assegnatari stanno iniziando ad attrezzarsi per la copertura del territorio: TIM e Vodafone a breve condivideranno le rispettive torri per fornire la connettività 5G.

Come più volte evidenziato, il 5G non è una nuova tecnologia ma più semplicemente una versione più moderna e ottimizzata delle tecnologie già utilizziamo da tempo. Il 2G fece capolino in Italia intorno al 1993 e grazie al GSM si poté iniziare a trasferire segnali in digitale mettendo a poco a poco da parte la precedente tecnologia trasmissiva analogica diffusasi a partire da metà anni ’80 e maturata con lo standard TACS, anch’esso analogico.

Le reti di quinta generazione si differenziano rispetto al 4,5G per le nuove interfacce radio NR (New Radio) oltre che per i nuovi sistemi di codifica, multiplazione e correzione degli errori (Filtered OFDM, Sparse Code Multiple Access, Polar Codes e così via).
Tra gli obiettivi primari legati all’implementazione delle reti 5G vi sono modelli di sviluppo per i servizi digitali offerti dagli operatori di telecomunicazioni in partnership con le utilities, le pubbliche amministrazioni, le imprese e i soggetti OTT (over-the-top), come li definisce AGCOM.

Di base, quindi, come abbiamo visto negli articoli 5G, cos’è, come funziona e quando i terminali saranno compatibili e 5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero?, le reti 5G useranno versioni ottimizzate delle tecniche di trasmissione con modulazione a multi-portante migliorate, accortezze più evolute nel campo dell’ingegneria dell’informazione e, come accennato in precedenza, i cosiddetti codici polari.
Questi ultimi sono il primo sistema al mondo di codifica dei canali che si avvicina alla soglia del limite di Shannon ovvero la velocità massima a cui i dati possono essere inviati, su una certa banda di frequenza, mantenendo un tasso di errore pari a zero.
I codici polari (l’inventore turco Erdal Arikan è stato premiato lo scorso anno dal fondatore di Huawei) consentono di trasmettere i dati in maniera più efficiente ottimizzando le prestazioni di codifica sulle reti 5G e velocizzando le prestazioni.
Arikan ha ringraziato gli ingegneri di Huawei facendo notare come senza la loro collaborazione le sue idee non sarebbero potute diventare realtà (ed essere implementate al fine di far avanzare le tecnologie di comunicazione wireless) in appena 10 anni.
Rispetto alle precedenti generazioni, dicevamo che il 5G non è una tecnologia nuova che solleva punti interrogativi. Utilizza semmai alcune porzioni dello spettro delle frequenze non impiegate in precedenza per la trasmissione dei dati su rete mobile (ma già adoperate per altri servizi), dai 24 GHz a salire.

Quando la frequenza cresce, la lunghezza d’onda si fa più breve. Usando particolari modulazioni, già apparecchi wireless che trasmettono e ricevono il segnale possono trasformarlo in dati.
Trasmettendo a frequenze basse, la lunghezza d’onda è ampia cosicché le operazioni di modulazione avvengono alla velocità di una lumaca (banda ridotta, rete lenta). Com’è lecito attendersi, aumentando le frequenze i dispositivi trasmittente e ricevente possono dialogare molto più velocemente (banda maggiore, scambio dei dati molto più rapido).
Ovviamente la velocità di tutte le emissioni elettromagnetiche intesa come lo spazio percorso nell’unità di tempo è sempre la stessa a prescindere dalla frequenza.

Il problema è che le frequenze più elevate sono molto meno “penetranti” e non riescono a superare gli ostacoli. Inoltre sono molto più vulnerabili alle condizioni meteo con la ricezione dei dati che può diventare difficoltosa se non impossibile.

Le reti 5G potranno usare un meccanismo chiamato adaptive beam switching che consentirà ai dispositivi di saltare rapidamente tra una banda di frequenza e l’altra scegliendo quelle che, in tempo reale, si dimostrano maggiormente affidabili ed efficienti.
Diversamente sarebbe inutile trasmettere anche a frequenze più elevate se si rischiassero un link instabile e un trasferimento dati inaffidabile.

Come risultato della gara indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico, in Italia gli operatori di telefonia mobili hanno ottenuto i diritti per l’utilizzo delle frequenze su tre bande distinte al fine di allestire le nuove reti 5G: 694-790 MHz, 3600-3800 MHz e 26,5-27,5 GHz.
Le prime due non rappresentano alcuna novità rispetto alle reti di precedente generazione: basti pensare che le prime sono le stesse utilizzate per il digitale terrestre.

Uno schema riassuntivo dell’occupazione per le reti di telefonia mobile di ciascuna generazione:

5G: 700/3700 MHz e 26 GHz (26.000 MHz)
4,5G: 1500 MHz 
4G: LTE FDD-LTE 800/1800/2600/2100 MHz 
3G: HSDPA WCDMA 900/2100 MHz 
2G: GSM 900/1800 MHz

Per quanto riguarda il blocco 26,5-27,5 GHz non si parla ancora di onde millimetriche (per queste ultime ci si riferisce alla porzione dello spettro compresa tra 30 e 300 GHz e si chiamano così perché la loro lunghezza d’onda varia tra 1 e 10 millimetri) e saranno frequenze utilizzate dagli operatori, almeno per il momento, solo in luoghi ad alta densità di traffico come i centri delle città, gli stadi o gli impianti industriali con l’obiettivo di fornire connettività ad elevatissime prestazioni.

Per quest’ultimo blocco, infatti, sono state ben poche le offerte in asta perché in una fase iniziale, dopo il primo dispiegamento delle reti 5G, è lecito ipotizzare che la banda 26,5-27,5 GHz venga utilizzata solo per stabilire link sulla lunga distanza con perfetta visibilità ottica.

In termini di potenze emissive non cambia nulla e il valore del campo non potrà superare i termini di legge (in Italia pari a 6 V/m anche se alcuni operatori ne stanno chiedendo l’innalzamento: Wind Tre: l’Italia aumenti i limiti di legge per i campi RF generati dalle antenne della telefonia mobile).

Le frequenze oltre i 24 GHz saranno utilizzate per il 5G al fine di allestire le cosiddette piccole celle. Con la rete di quinta generazione un ulteriore fine consiste nel realizzare la convergenza tra utenti fissi e utenti in mobilità, tutti connessi via radio al 5G.
A questo proposito, le piccole celle dislocate sul territorio (aumentando il numero di antenne si ridurranno le emissioni; con il 5G, peraltro, la trasmissione non avviene durante il 100% del tempo come accade nel caso del 4G…) permetteranno di fruire – in condizioni ottimali – di connessioni wireless nell’ordine dei 10 Gbps (la stessa direzione verso la quale sta guardando la WiFi Alliance con WiGig: WiGig: cos’è e come funziona la tecnologia che affiancherà Wi-Fi 6 o 802.11 ax).

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